#1 | Lavori del cavolo di oggi e di ieri
Aspetti e risvolti degli impatti dell'intelligenza artificiale che finora non avevo preso in considerazione
Una decina di anni fa, l'antropologo e attivista David Graeber scrisse un libro intitolato Bullshit Jobs in cui descriveva le professioni senza senso che rendono ricco (più o meno) e infelice (più o più) chi le svolge e costituiscono il fondamento del nuovo capitalismo globale. Questi cosiddetti "lavori del cavolo", per usare un eufemismo vegetale e non rischiare di essere censurata, sono attività che dovrebbero essere automatizzate ma che per varie ragioni, o per semplice inerzia, non lo sono.
Ora: negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare (da ultimo, certo non per importanza, si è espresso al proposito persino Papa Francesco) di sistemi di intelligenza artificiale che, più presto che tardi, sarebbero destinati a rubarci il lavoro - dove il "ci" si riferisce a chi di mestiere scrive, traduce, disegna, scatta fotografie e compie in generale lavori che potremmo definire creativi. Come ho cercato di spiegare il 1 dicembre nell’intervento che ho tenuto per la Unicollege Global Annual Conference (su cui sto scrivendo un pezzo - seguiranno info), secondo me la questione non è così semplice, e mi dissocio da certe affermazioni un po’ riduttive, o riduzioniste. Ma il problema, a dire il vero, è che la storia non finisce certo qui.
Il fatto è che dietro tutti questi sistemi, anche i più impressionanti, ci sono persone: e non sto parlando delle persone che li hanno ideati, o programmati, ma delle migliaia, anzi dei milioni di individui che etichettano i dati per il training (l'allenamento preliminare che rende queste IA capaci di sbalordirci) e, in un secondo momento, intervengono su dati potenzialmente confusi o fonte di confusione per fare chiarezza. Per esempio, separano immagini di strade in cui ci sono delle strisce pedonali dalle immagini di strade in cui ci sono delle semplici chiazze bianche: una distinzione che per un veicolo senza guidatore umano può fare la differenza tra la vita e la morte di qualcuno.
Ed ecco così fiorire letteralmente dal nulla, nel senso che prima non soltanto non esistevano ma non erano neppure concepibili, nuovi "lavori del cavolo", in cui queste persone trascorrono le proprie giornate a etichettare dati, a valutare quale, tra le risposte date da un analogo di Chat GPT, è quella che "suona più umana" (qualsiasi cosa ciò significhi) e via di seguito. Lavori parcellizzati che, a differenza di quelli individuati dieci anni fa da Graeber, di solito un senso ce l'hanno - in generale, allenare i software di intelligenza artificiale - ma spesso i lavoratori non hanno idea di quale sia. E chi paga il prezzo di questa ignoranza? Be’, ovvio: noi.
Come racconta Josh Dzieza in questo splendido reportage realizzato per il magazine The Verge, una delle conseguenze della nascita e della diffusione di questi lavori (chiamati in gergo "task", letteralmente “compiti”), è che a essere competitive sul mercato sono soltanto le società che possono permettersi di pagare questa forza lavoro immensa. Una forza lavoro, tra l’altro, di cui si parla e si parlerà sempre meno, perché capite bene che se l’intento è quello di creare la “prossima ChatGPT” (tanto per non fare nomi) la segretezza diventa prioritaria. Con il risultato che non soltanto in diversi casi non sappiamo come i sistemi di IA funzionano nel dettaglio, ma che questa ignoranza si accompagna a quella sulle persone che, istruendoli e correggendoli, ne plasmano il funzionamento e i risultati senza avere idea di qual è il quadro generale in cui si stanno muovendo.
SapEvatelo: queste tre cose mi sono piaciute assai
Un articolo sulle ricadute sociali dell’IA - quello, splendido, apparso sul New Yorker di Ted Chiang, autore di libri di fantascienza (tra cui il racconto da cui è stato tratto il film Arrival): Will A.I. become the new McKinsey? Se avete anche soltanto una vaga idea di che cosa sia la società di consulenza McKinsey, non c’è bisogno che aggiunga altro.
Un libro per chi prova un po’ di spavento quando si avvicina a questi argomenti - il saggio sull’intelligenza artificiale scritto dalla bravissima Jeannette Winterson: 12 bytes. Come siamo arrivati fin qui, dove potremmo finire in futuro (Mondadori, 2023, traduzione di Chiara Spallino Rocca - anche se devo precisare che io l’ho letto in originale, uno dei pochi oneri/privilegi che derivano dal fare la traduttrice). Questo libro risponde alla domanda “che cosa succede quando una grande scrittrice contemporanea di narrativa pubblica una raccolta di saggi sull’intelligenza artificiale?”: succede che un tema di solito trattato da tecnici e specialiste del settore è affrontato invece dal punto di vista di una persona abituata a inventare storie, a riflettere su se stessa, sull'umanità e sul futuro che ci aspetta (o ci potrebbe aspettare.
Una serie TV che non è che c’entri tanto ma sta piacendo a tutti i membri della mia famiglia - The Expanse (su Prime Video), cinque o sei stagioni di pura fantascienza con qualche tocco di realismo qua e là. Se la guardate in lingua originale, attenzione all’accento (credo neozelandese) del personaggio di Bobbie, perché provare ad ascoltarla senza leggere ossessivamente i sottotitoli non farà che confermarvi che, come avete sempre sospettato, in realtà la lingua inglese per voi rimarrà sempre un mistero.
E tu, hai un libro, un articolo, un film o un qualcos’altro di preferito di cui vorresti parlarmi? Puoi farlo lasciando un commento:
Per ora direi che è tutto. Se, come credo, continuerò a scrivere con cadenza mensile, mi sa che questo è anche il momento in cui ci facciamo gli auguri di buon anno nuovo. Fa un certo effetto, lo so, perché almeno a me sembra di avere ancora i segni delle spalline del costume risalenti al sole di agosto, e invece siamo a metà dicembre!
Pertanto, buona fine e buon inizio. Ci si rilegge a gennaio 2024.
Eva
Ricordo che avevo scoperto qualche anno fa "The Expanse" grazie a Vera Gheno e Loredana Lipperini: mi ci ero immerso e da allora cerco di consigliarla a chiunque, perché è fantascienza ai suoi massimi livelli. Che bello ritrovarla qua, insieme al consiglio di un pezzo di Ted Chiang!